L’Algeria si prepara ad andare al voto in un clima di crescente malessere sociale. La data delle elezioni presidenziali è fissata per il prossimo 12 dicembre, e anche in questi ultimi giorni di campagna elettorale le proteste non si sono fatte mancare. Scendere in piazza è ormai diventata una consuetudine per gli Algerini. Quello che i dimostranti chiedono a gran voce è una maggiore democrazia, e più trasparenza contro un sistema politico più volte definito dai protestatari come corrotto e inefficiente. Le mobilitazioni, che hanno riguardato tutte le maggiori città algerine e in particolare la capitale, Algeri, hanno avuto come risultato la rinuncia a correre del presidente Albdelaziz Bouteflika. Bouteflika si era infatti inizialmente candidato – o per meglio dire era stato candidato – per il quarto mandato, ma si è poi definitivamente ritirato lo scorso aprile, facendo precipitare il sistema politico nel caos. L’establishment politico è stato incapace di trovare una soluzione – né di continuità, né di risposta – alle masse oceaniche che hanno occupato la capitale negli ultimi nove mesi, chiedendo democrazia e le dimissioni di un intera classe dirigente al potere dal 1962, anno dell’indipendenza del paese.
Dopo una fase turbolenta e di incertezza sulla data precisa del voto, lo scorso 2 novembre il presidente dell’autorità di controllo sulle elezioni, Mohamed Chorfi, ha finalmente comunicato i nomi dei candidati per le elezioni presidenziali del 12 dicembre prossimo. I candidati ammessi al voto sono: il settantacinquenne Alì Benflis, precedentemente capo del governo; Abdelmadjid Tebboune, prefetto e primo ministro nel 2017, durante la presidenza Bouteflika; il ministro della cultura e segretario generale del partito Rassemblement national démocratique (Rnd) Azzeddine Mihoubi; il ministro del turismo Abdelkader Bengrina; e infine il segretario del partito Fronte el-Mostakbal, Abdelaziz Belaid. Quest’anno – per la prima volta in assoluto nel paese – i cinque candidati alle presidenziali hanno accettato il confronto televisivo, che è andato in onda venerdì 6 dicembre in prima serata. Tuttavia, e nonostante il fatto che dopo due rinvii le elezioni siano state finalmente fissate, il movimento Hirak – principale animatore delle recenti manifestazioni popolari – non intende mollare la piazza, denunciando la prossima tornata elettorale come poco trasparente e non democratica. Un’accusa che si sente spesso muovere dalle manifestazioni di piazza nei confronti dell’establishment è che la lista dei candidati uscita dalla commissione elettorale rimane autoreferenziale, e gravita sempre intorno al “sistema Bouteflika”.
Nel confronto televisivo le proposte elettorali dei candidati non sono mancate. Belaid ha dichiarato che in caso di vittoria intende incentivare gli investimenti nel settore agricolo e turistico, per aumentare l’occupazione giovanile e far crescere il reddito delle famiglie, soprattutto quelle nelle fasce più basse della popolazione. Tabboune, sempre a riguardo della questione giovanile, ha promesso investimenti economici sostanziali nel settore della conoscenza e tecnologia. Tabboune ha anche sostenuto che l’Algeria dovrebbe investire nella diversificazione economica, per non rimanere dipendente dalle fluttuazioni del prezzo del petrolio e del gas. Benflis ha invece proposto di ridurre il tasso di disoccupazione giovanile – superiore al 30%, secondo le stime attuali – con un piano di stimolo economico basato su un sistema di banche dedicate al credito per i giovani che intendono investire nei settori economici come informatica, agricoltura e turismo. Anche Bengrina si è detto intenzionato a investire nel settore agricolo e del turismo oltre che sui giovani, visti come il capitale umano necessario per rinnovare il paese. I cinque candidati si sono confrontati su altri temi importanti. Il dibattito è stato ad esempio acceso sull’impennata dei prezzi del paniere, segnale importante della crescita dell’inflazione e della conseguente perdita di valore della moneta. Molta attenzione è stata dedicata anche alle pensioni e al sistema di assistenza sociale.
Il dibattito televisivo ha avuto il vantaggio di dare avvio a una campagna elettorale fin qui spenta, portando il confronto nelle case degli algerini e dando loro la possibilità di conoscere meglio i candidati. Per quanto riguarda la qualità del dibattito, pochi si aspettavano un confronto accesso che potesse segnare veramente una differenza chiara tra i candidati e tra passato e futuro. Questa novità non ha dunque placato le piazze, che come già osservato contestano la scelta dei candidati, ritenuti una cooptazione del sistema politico ingessato dagli anni Sessanta del secolo scorso. Dal curriculum politico dei candidati emerge ad esempio che il candidato Ali Benflis è stato primo ministro nella presidenza Bouteflika nel 1999, e che anche Tebboune è stato primo ministro nell’ultimo mandato della presidenza Bouteflika, nel 2017. Mihoubi è stato presidente di un partito associato al Front de libération nationale (alla guida del paese dall’indipendenza), mentre Bengrina è stato molto vicino ai movimenti islamici moderati. Infine, Belaid è stato nell’associazione giovanile che ha sostenuto la presidenza Bouteflika. Queste sono alcune delle perplessità di una mobilitazione popolare che chiede più democrazia e un’autentica alternanza, e che al contrario si ritrova con candidati che, pur non appartenendo direttamente al sistema politico denunciato, ne gravitano intorno. Per quanto riguarda la partita politica giocata all’interno della macchina statale, i militari – pouvoir réel – sostengono Benflis, appoggiato già nel 2004 e nel 2014 proprio contro la candidatura di Bouteflika, che aveva comunque ottenuto un sostegno importante dal capo dello Stato maggiore dell’esercito, Ahmed Gaid Salah.
Il prossimo 12 dicembre l’Algeria – il più grande paese del Maghreb – sarà insomma chiamata a scegliere il successore dell’era Buoteflika. Dopo proteste senza precedenti dall’epoca dell’indipendenza, le piazze hanno chiesto chiaramente un ricambio radicale delle classe dirigente, ma i candidati promossi l’Autorité nationale indépendante des élections (Anie) non sembrano aver risposto a questa domanda. Il movimento Hirak – che ha smosso il paese – ha chiesto agli Algerini di disertare le urne come estrema forma di protesta, così da delegittimare chiunque sia il vincitore delle prossime elezioni – il tasso di astensione sarà dunque un interessante indicatore per capire la forza del movimento. Quello che sembra al momento certo, oltre alla data delle elezioni, è soprattutto la continuazione delle proteste, sempre più partecipate e determinate, mentre l’esercito osserva tutto, con la massima attenzione.
Mohamed el Khaddar